1 giugno 2017

Il Drago del Lago di Fuoco

Un vecchio mago, ultimo depositario di tutti gli arcani segreti dell'universo, viene pregato da una ragazza di adoperare le sue magiche virtù per liberare il suo paese dall'incubo di un terribile drago, cui il pavido re Cassiodoro offre periodicamente in sacrificio una fanciulla estratta a sorte tra le vergini del villaggio, affinchè il mostro si astenga da ulteriori devastazioni. Il mago accetta, ma prima ancora di intraprendere la sua missione viene ucciso da una guardia del re. A raccogliere l'eredità del negromante è il suo giovane apprendista, che a parte la buona volontà non ottiene altro che insuccessi continui, causando anche involontariamente una devastante rappresaglia del mostro.
Dopo che la stessa figlia del re, per anni esclusa dal padre dal sorteggio, diviene per propria voontà vittima del drago, il vecchio mago risorge dalle sue stesse ceneri e porta a termine la missione sacrificando la sua vita e portando via con sè, per sempre, i segreti della magia.

È difficile comprendere come, talvolta, film di pregevole fattura, con tratti anche fortemente innovativi, restino confinati a lungo nell’oblio a causa di una infelice accoglienza, rimanendo poi estranei, anche in tempi più maturi, al circuito della grande distribuzione.

Riguardo Dragonslayer, risulta ancora più arduo spiegarsi il perché, in un momento di grande fortuna del cinema fantasy, un momento in cui trapela interesse anche verso la sua storia passata, questo gioiello non riceva l’attenzione che merita.
Quando il film uscì nelle sale, nel 1981, nonostante il battage pubblicitario piuttosto imponente, non riscontrò grande successo, recuperando solo una minima parte degli ingenti costi di produzione. Le critiche furono innumerevoli, per lo più superficiali e condizionate da evidenti pregiudizi, in larga parte incentrate sull’eccessiva violenza delle scene e sull’atmosfera ritenuta esageratamente lugubre, funerea, quasi morbosamente tetra, caratteristiche che mal si sposavano con una produzione Disney rivolta a spettatori di fascia giovanile.
In effetti, l’ottimo lavoro diretto da MATTHEW ROBBINS (già co-sceneggiatore di Incontri ravvicinati del terzo tipo), sorprendentemente maturo e avvincente, risulta godibile anche – se non soprattutto – dal pubblico adulto, che può meglio apprezzarne proprio quell’oscura atmosfera, così aderente all’ambientazione nordica, ricostruita attraverso tinte tali da renderla coinvolgente e singolarmente credibile.

La trama narra le vicissitudini dell’antica città di Urland, costretta a un atroce patto sotto il giogo del vecchio e crudele drago Vermithrax, che minaccia lo sterminio delle genti inermi: ad ogni solstizio una giovane vergine viene sorteggiata per essere offerta in sacrificio alla creatura.
I cittadini, stremati da questa terribile consuetudine, nell’estremo, disperato sforzo di salvare le proprie figlie, cercano l’aiuto di un vecchio e potente stregone di nome Ulrich.
Il mago si assume il compito di uccidere Vermithrax, ma viene malauguratamente assassinato da una guardia del meschino re di Urland, il quale, avendo segretamente escluso dallo sciagurato sorteggio la principessa Elspeth, sua figlia, preferisce tenere in vita la tragica usanza piuttosto che rischiare di scatenare irrimediabilmente la furia del drago.
Sarà allora Galen Badwarrick (PETER MACNICOL, oggi noto attore televisivo, protagonista di serie di successo come Ally McBeal e Numb3rs), il fidato apprendista di Ulrich, a portare a termine la missione in luogo del maestro, e a contrastare le macchinazioni dello stesso sovrano.
Recatosi alla tana di Vermithrax all’interno di una montagna, Galen riesce a sigillarne l’ingresso facendolo crollare con un potente incantesimo. La gente di Urland lo accoglie allora come un eroe, ma i guai non sono certo finiti…
L’enorme rettile, troppo possente per morire in modo così banale, resta imprigionato tra le macerie della sua tana solo per poco; Galen è pertanto costretto ad affrontarlo di nuovo. Questa volta il giovane decide di farlo con l’aiuto di una magica lancia ammazzadraghi, la Sagittarius Dracorium, forgiata grazie a un potente talismano lasciatogli dal maestro.
Protetto da uno scudo di scaglie di drago donatogli da Valerian, una bella fanciulla di Urland di cui si è intanto innamorato, Galen decide di attaccare ancora Vermithrax nella sua tana. Lo scontro è drammatico, caratterizzato da toni epici e da un ritmo incalzante; il giovane riesce a ferire il drago e a ucciderne i cuccioli, ma la stanchezza sembra poi prendere il sopravvento su di lui, lasciandolo alla mercé del vecchio drago.
Subentra allora il colpo di scena, forse discutibile: gettando le ceneri del maestro nel lago di fuoco all’interno della caverna, Galen lo fa tornare in vita, così i due stregoni, unendo le forze, possono finalmente sconfiggere Vermithrax e liberare Urland.
La pellicola è davvero imperdibile per chi ama il cinema fantasy, un piccolo classico nel quale gli stereotipi del genere vengono riletti con efficace originalità, ritmo coinvolgente, atmosfere fortemente evocative e con una consapevolezza inattesa per quegli anni.
Gli aspetti tecnici, poi, rappresentano il vero punto di forza del lavoro; l’uso della fotografia è sapiente, e le luci sono abilmente sfruttate in funzione di una scenografia tesa e oscura. L’animazione in computer graphic, quasi impensabile nel 1982, costituisce un sorprendente valore aggiunto e permette di dar vita a Vermithrax con grande realismo. Il film infatti è il primo a usare la tecnica della go-motion che prevede l’utilizzo di miniature meccanizzate mosse dal computer.
Solo il finale pare eccessivamente teatrale; così fortemente condizionato dal deus ex machina del sortilegio che permette la resurrezione di Ulrich. Una trovata un po’ troppo “comoda” e frettolosa, che consente al regista di salvare Galen da una situazione apparentemente compromessa.
Questa nota critica non deve però influenzare il giudizio complessivo su di un film che merita una più che attenta visione, una pellicola nei riguardi della quale le due candidature al premio Oscar, per gli effetti visivi e per le straordinarie, lugubri musiche di ALEX NORTH, rendono solo parziale giustizia.

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